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giovedì 12 febbraio 2015

Tra arte austriaca e realtà italiana...


Tra l'arte austriaca e realtà italiana...
Chi dice che più di cento anni siano sufficienti a cambiarci?



Kuntsmuseum
"Sposa del vento" conosciuta anche come "Tempesta"
1914. Kuntsmuseum
Immedesimiamoci per un attimo, in un quel grande mosaico cosmopolita della Vienna nei primi anni del Novecento. Mentre l'espressionismo artistico trovava posto, tra a nazionalità in fermento, e un crocevia geografico tra Occidente e Oriente sempre più ingombrante, noi ci collocheremo lì, assieme alla voglia di superare i molteplici steccati che ancora erano ben solidi tra la mentalità puritana di quegli anni. Oggi voglio parlarvi di quel legame che penso esista tra il Kokoschka espressionista, e noi che tra mille semafori al contrario riusciamo a malapena a farle affiorare quelle nostre espressioni.
Penso che la tela non colpisca tanto per  per le sue 
innovazioni stilistiche, ma ciò che colpisce invece è l'uso di un certo linguaggio per trattare il rapporto di coppia, in modo apocalittico, quasi che l'estasi dell'amore derivasse da un tormento che esso stesso lui provoca; colori violenti, uomini distorti, moto centripeto delle forme.
La coppia sembra adagiata su una fragile barca,pronta a essere catturata dalla forza incontrastata dal mare. Il corpo, e tutte le carni dell'uomo sembrano livide e lacerate. 
L'atmosfera e i toni cupi parlano di una relazione a doppio volto, quasi portasse a pensare in un gesto disperato, ove la donna impossessata dalla gelosia, in un momento di irrazionalità, uccidesse l'amante, che ora riposa sulla sua candida spalla.
Comunque sia, tutto porta a pensare che l'amore secondo Kokoschka, non fa altro che spingere la coppia in un vortice di dipendenza reciproca e in un isolamento totale dal mondo.
Ma se alla fine ci fermiamo solo un attimo, e riflettiamo quanto poco basti per capire che questo non è altro che quello, che realmente accade a noi, tutti i giorni, non solo in "Tempesta 1914" ; ma allora perché continuiamo a porre le nostre relazioni, su delle lance che dal tanto precarie che sono, sono destinate a naufragare in un mare di lacrime? Come una sorta di santuario, dove ciascuno di noi sopravvissuti  ha i propri amici, le proprie persone, che hanno scelto di rischiare, hanno scelto di uscire in mare a notte fonda, non vedendo nulla perché il buio era l'unica luce presente, a bordo di barcarole, che si sapeva dall'inizio del viaggio, imbarcassero acqua; ma caparbi hanno scelto di proseguire, mettendo a rischio la propria razionalità e il proprio essere.
E' giusto perciò, piangerli? 
E' giusto pregare chiunque a cui crediamo, alla fine di poterli riavere con noi, perché il buio e l'amore hanno rapito la loro razionalità?

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