Chi dice che più di cento anni siano sufficienti a cambiarci?
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"Sposa del vento" conosciuta anche come "Tempesta" 1914. Kuntsmuseum |
Immedesimiamoci per un attimo, in un quel grande mosaico cosmopolita della Vienna nei primi anni del Novecento. Mentre l'espressionismo artistico trovava posto, tra a nazionalità in fermento, e un crocevia geografico tra Occidente e Oriente sempre più ingombrante, noi ci collocheremo lì, assieme alla voglia di superare i molteplici steccati che ancora erano ben solidi tra la mentalità puritana di quegli anni. Oggi voglio parlarvi di quel legame che penso esista tra il Kokoschka espressionista, e noi che tra mille semafori al contrario riusciamo a malapena a farle affiorare quelle nostre espressioni.
Penso che la tela non colpisca tanto per per le sue
innovazioni stilistiche, ma ciò che colpisce invece è l'uso di un certo linguaggio per trattare il rapporto di coppia, in modo apocalittico, quasi che l'estasi dell'amore derivasse da un tormento che esso stesso lui provoca; colori violenti, uomini distorti, moto centripeto delle forme.
La coppia sembra adagiata su una fragile barca,pronta a essere catturata dalla forza incontrastata dal mare. Il corpo, e tutte le carni dell'uomo sembrano livide e lacerate.
L'atmosfera e i toni cupi parlano di una relazione a doppio volto, quasi portasse a pensare in un gesto disperato, ove la donna impossessata dalla gelosia, in un momento di irrazionalità, uccidesse l'amante, che ora riposa sulla sua candida spalla.
Comunque sia, tutto porta a pensare che l'amore secondo Kokoschka, non fa altro che spingere la coppia in un vortice di dipendenza reciproca e in un isolamento totale dal mondo.
Ma se alla fine ci fermiamo solo un attimo, e riflettiamo quanto poco basti per capire che questo non è altro che quello, che realmente accade a noi, tutti i giorni, non solo in "Tempesta 1914" ; ma allora perché continuiamo a porre le nostre relazioni, su delle lance che dal tanto precarie che sono, sono destinate a naufragare in un mare di lacrime? Come una sorta di santuario, dove ciascuno di noi sopravvissuti ha i propri amici, le proprie persone, che hanno scelto di rischiare, hanno scelto di uscire in mare a notte fonda, non vedendo nulla perché il buio era l'unica luce presente, a bordo di barcarole, che si sapeva dall'inizio del viaggio, imbarcassero acqua; ma caparbi hanno scelto di proseguire, mettendo a rischio la propria razionalità e il proprio essere.
E' giusto perciò, piangerli?
E' giusto pregare chiunque a cui crediamo, alla fine di poterli riavere con noi, perché il buio e l'amore hanno rapito la loro razionalità?
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