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venerdì 27 febbraio 2015

Cosa faresti, se non avessi paura?

Dalla pellicola "Monument Men" di Clooney a stamattina...


In tutta sincerità non riesco a capire se siamo più patriottici che coerenti.. Ci siamo sdegnati alla vista della fontana di Bernini a Roma per mano dei tifosi olandesi, e ci siamo inorriditi dalla distruzione del museo di Mosul.
La verità è che in fondo non abbiamo fatto niente di male, è da una vita, è da secoli per meglio dire che cerchiamo che combinare qualcosa, che almeno si avvicini abbastanza al "meraviglioso" e a quanto pare ci siamo anche andati molto vicino. Ora non ne ho idea, sembriamo presi tutti da una sorta di"blocco dello scrittore" che teoricamente ci dovrebbe far sentire molto arrabbiati, ma impotenti nel medesimo tempo. 
Ci conviviamo ormai da tempi immemori, con questa simile follia, da quando qualcosa, mi ha indotto a ripensare al famoso grido di “Sono Gesù, e sono risorto dalla morte", dove il pazzo in questione vibrò quindici martellate contro la Pietà di Michelangelo staccando braccio sinistro, sfregiando al volto, naso e palpebre alla Madonna. Se vogliamo poi, passeggiare nel passato, non possiamo certamente dimenticarci della trafugazione e conseguente distruzione da parte dei nazisti di opere d'arte occidentale, portata sullo schermo non da molto, dal bel Clooney e dal suo goffo e scanzonato plotone di esperti d'arte che tentano di salvare tanta bellezza. 
Immemore il furto di un italiano, che infilò la Gioconda, sotto il cappotto e uscì indenne dal Louvre, di cui si ipotizza ancora un dubbio patriottismo, o una stellata ricompensa.
Potrei continuare all'infinito, ma continuando, mi allontanerei dal punto del discorso, per perdermi in un elenco infinito e esageratamente ciclico di fatti e misfatti, che vi deconcentrerebbe dal mio appello.
Penso che tutti abbiano sentito quell'assordante rumore, della testa di Nergal, decapitata dai jidahisti caduta al suolo, provocando un rumore sordo nei nostri cuori, potente come un muro di angoscia che rovina al solo, rovinando sul nostro passato, perché il futuro può essere spazzato via, solo se prima si riesce a bombardare il passato.
Noi viviamo in un limbo, più limbo che presente, perché di fatto teorizziamo ma non produciamo nessuna memoria, nessuna gesta capace di urlare al futuro la nostra storia. 
E qui che nasce un ultimo e, sentito appello, perciò se loro hanno distrutto passato, presente e futuro, annientando la civiltà, allora siate pronti a annientare la loro. 
Se fermarli é difficile, o improbabile, non abbiate paura, proteggete quel poco o nulla che di civiltà è rimasto, "nascondendolo sotto il cappotto", chiunque e sotto qualunque cappotto, lo facciano tutti, portandolo al sicuro, lasciando le città vuote, stracolme solo di ignoranza e pazzia. Fatelo, e se qualcuno proverà a fermarvi, aprite il fuoco più potente che ci sia, fino a quando tutta la follia verrà annientata.
Stamattina, e domani mattina, avremo centinaia diplomatici, avremo migliaia di slogan che insistono di mantenere la pace, e infine avremo milioni di cose di cui materialmente non ce ne facciamo nulla, ma certamente anche se sdegnati e inorriditi non avremo indietro di nuovo il nostro passato.
Pensiamoci tutti!

giovedì 26 febbraio 2015

Dialogo a Montmarte: Dalì e la street-art



Una chiaccherata a Montmartre: Dalì e la street-art



L'Homme Mouton di Fred Calmaste



"Fino al 15 Marzo all'Espace Dalì Paris, 22 artistes street art s'inventent chez Dalì: Dalì fait le mur."Non una semplice chiacchierata, 300 opere a Montmartre, angolo di fiaba e realtà che infervorava tutti, da Modigliani a Soutine, inculcandoci quell' idea romantica, ma non meno bohémien che faceva dell'artista, un profeta tormentato, e inascoltato.Con uno skyline talmente sbalorditivo, da diventare surreale, c'è ancora chi trascorre un lunedì pomeriggio, chiacchierando con l'arte.E' molto più di un dialogo, ma un confronto così significativo tra surrealismo e street art, da tenerci concentrati ma senza perdere nemmeno per un minuto l'immaginazione e la fantasia, in tutto il percorso; alcuni pezzi, oltre a dialogare con la post-contemporaneità della street art, hanno da raccontarci una storia tutta loro. Ma incomincio col dire che questo dialogo che non è per niente stancante, né ripetitivo, o forzato, ma straordinariamente organico probabilmente per la grande accomunanza di Dalì con la street-art di oggi che sicuramente hanno in comune, la voglia di ribellarsi, di ricreare, e proporre tecniche espressive nuove, ridiscusse, proprio come egli stesso seppe maneggiare destramente il concetto di surreale, rendendo inaccettabile il fatto che il sogno (e l'inconscio di conseguenza) avesse avuto così poco spazio nella civiltà e nell'arte moderna, da ricreare la fondamentalità del sogno e dell'inconscio nella propria produzione, ripristinandoli dalla loro marginalità.Una storia talmente attraente, da sedurmi a prima vista.Tra le 300 opere esposte permanentemente alla fondazione, alcune come dicevo prima hanno un dialogo talmente importante da essere personale e univoco come il più celebre e conosciuto "orologio". Come nella pittura, stesso discorso vale per la scultura, dove in entrambe, gli orologi si sciolgono come se se si trattasse di un'improbabile dilatazione del tempo. L'orologio di Montmarte, (Persistenza della memoria), poggia su un ramoscello così scarno da simboleggiare il tempo della memoria. Ha una forma poco definita, quasi fluida per dimostrare l'opposto delle ferree regole del tempo, ossia l'elasticità del tempo della memoria.Possiamo "rapidamente" transitare da un Fred Calmets con il suo Speed-Man di ispirazione giapponese a una "Venere a cassetti" dove il cassetto altro non è che una delle zone più profonde e segrete dell'inconscio, evocato innumerevoli volte anche dallo stesso Froid. Un repertorio estremamente vario che comunque insiste per non farci disperedere il messaggio più importante: "guardare un oggetto e vederne, e dipingerne di conseguenza uno diverso"Una sorta di esperienza polimorfa, esplosiva, deconcentrante, insolita, anticorformista, divertente, che ha permesso finalmente aggiungerei, e dopo tanto una "bavarder"tra contemporaneità e post-contemporaneità che nei nostri scorci italiani, o almeno meneghini per quanto io veda, non è ancora arrivata! Più di venti artisti prelevati direttamente dalla street art, tra pennelli, e bombolette spray hanno dato la loro personale visione di surrealismo.Dialogheranno Akiza, Artiste Ouvrier, Btoy, Fred Calmets, Codex Urbanus, Hadrien Durand-Baïssas, Jadikan, Jérôme Mesnager, Les King’s Queer, Kool Koor, Kouka, Levalet, Thomas Mainardi, Manser, Nikodem, Nowart, Paella, Pioc Ppc, Sack, Speedy Graphito, Valeria Attinelli, Zokatos

giovedì 19 febbraio 2015

Viaggio attraverso il surrealismo di Mirò..




"Il surrealismo si fonda sull'idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme di
associazione finora trascurate, sull'onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella soluzione dei principali problemi della vita.." - ed è qua che incomincerà il viaggio all'interno del surrealismo, ma non senza prima aver citato la natura delle sue origini.
Un'origine che da voce alle forze delle più personali fantasie, del sogno e dell'inconscio, quegli impulsi incontrollabili padroni di tutti noi.
Il desiderio di evadere dalla realtà, di lasciarsi alle spalle gli orrori della prima grande guerra, causata proprio da quella società che aveva la pretesa di considerarsi spirituale, ma che invece con i suoi orrori e la sua tragedia, non aveva fatto altro che spalancare il portone a quell'arte che seppe trasformarsi, rinnovarsi, e credere ancora per l'ennesima volta ai propri sogni, credendo in un futuro migliore.
In questo sottofondo, ho scelto di parlare di uno degli artisti surrealisti più conosciuti, Mirò, in mostra dal 26 novembre 2014 al 6 aprile 2015 a Palazzo tè, a Mantova.
Sappiamo che in un primo periodo, la produzione dell'artista viene considerata una sperimentazione tra cubismo e fauvismo, ma sarà dagli anni 20 che egli attribuirà quell'importanza al gioco arbitrario e al pensiero che ci sposterà verso un'arte che diventerà sempre più concettuale, più semplificata nelle sue forme.
L'artista diventa uno dei più radicali teorici del surrealismo, in numerosi scritti esprime il suo disprezzo per la pittura convenzionale esprimendo il desiderio di ucciderla  ed assassinarla  per giungere a nuovi mezzi di espressione.
I sogni e le fantasie, non sono lanciate di getto, ma meditate per tempo, perchè con una sola forma fuori posto, la circolazione si spezzerà, e l'equilibrio dell'opera verrà meno.
Tra forme leggere, mancanza di prospettive, collage, e materiali di scarto, di chiara matrice dadaista,
ci troviamo davanti a grandi tele, dove nel loro allucinato mondo parallelo sono popolate di forme geometriche colorate, sospese un po' tra l'aria e il niente, ma che ricercano ossessivamente l'interiorità delle cose, con una crescente astrazione, che riesce a disorientare i più razionali di noi.
Ma forse questo non è il modo con cui sempre più spesso cerchiamo di ingannare noi stessi? Incontabili, le volte in cui creiamo un nostra personale visione dei fatti, una visione che trascende dal reale, fino a diventare come "surreale", perchè è così che il nostro corpo reagisce alle delusioni. Cerchiamo anche noi una dimensione fantastica, in cui cerchiamo di riordinare tanti piccoli gesti, che presi singolarmente sono impercettibili all'occhio degli altri. A volta funziona, a volte no; il trucco del gioco è che non dobbiamo spezzare l'equilibrio, ci dobbiamo credere, anche se tutto ci è contro. Ma è sognare che ci rende uomini, capaci di grandi cose.




domenica 15 febbraio 2015

La denuncia sociale, di cinque donne nella strada...

La denuncia sociale, di cinque donne nella strada...


"Con fede e progresso e in una generazione di creatori e spettatori, chiamiamo a unirsi tutta la gioventù. In quanto giovani siamo portatori del futuro e vogliamo creare per noi stessi libertà di vita e movimento [Kirchner 1916] ...
 Citando Nietzsche e erede di un ideale romantico, Dresda era convinta che l'arte potesse giocare un ruolo determinante nel condurre l'uomo a valori meno corrotti di quelli a cui lo forzava la nuova società.
Nell'arte, il tema della prostituzione era particolarmente frequente nella riproduzione di un'artista. 
Ma nelle "cinque donne nella strada", c'è qualcosa di particolare, che va oltre l'opera in sé.
Cinque donne nella strada; Kirchner, 1913
Le donne si stagliano su uno sfondo verde acido chiaro: il normale rapporto tra figura e sfondo, almeno dal primo punto di vista, viene invertito; in modo che il nostro sguardo venga catturato dapprima dalla tela, e poi dal soggetto in questione. Le nostre percezioni più certe vengono infatti messe in discussione,   come viene messo in discussione l'antico sistema dei valori etici.
Gli abiti sono modulati su una tonalità scura usata non come linea ma come colore pieno.
I visi pallidi, e le labbra evidenziate da rossetti pesanti sono l'unica trasgressione che il pittore si concede.
Gli abiti sottolineano la moda in voga a Berlino, grande città simbolo di crescita; la monumentalità dei capelli denuncia la vanità delle signore, ma evidenzia il concetto che la città era ora una capitale aperta a ogni stranezza, e che forse vedeva Parigi come il suo modello personale.
In tutto ciò non fa altro che emerge la difficoltà di vivere in un contesto, che non premia, ma ostacola, i moti affettivi, una difficoltà in cui viviamo tutt'ora; dove emergono l'asprezza di un'esistenza narcisistica dedicata a guardarsi e soprattutto a mostrarsi, assieme all'incapacità di comunicare, travestita da un elegante distacco, tipica della società elitaria di ieri e oggi.
E proprio quando viene meno la comunicazione, o per meglio dire essa viene sostituita da quella dello status; forse i più critici di noi ne prendono atto ma con una differenza; noi possiamo ancora denunciare questo attraverso la musica e la pittura, quando i nostri predecessori lo hanno già fatto egregiamente ormai anni orsono? Come possiamo reagire quando di fronte a noi abbiamo un elitè ceca e sorda, troppo ingombrante da spostare per fare posto a chi in fondo ci crede ancora, ma ha finito i mezzi a sua disposizione?
In un mondo dove i valori etici non esistono più, ma vengono emulati all'infinito, quale strumento di denuncia possiamo usare noi giovani?
 Che si tratti di un lavoro, di un'opportunità, o di far parte di qualsiasi mondo, cosa ci è rimasto oltre all'indignazione in nostro potere?

venerdì 13 febbraio 2015

Il bacio nella nostra storia, e in quella dell'arte..

Il rapporto che abbiamo col bacio...



Questo dipinto fa parte di quella categoria dove troviamo "L'urlo", "La bambina malata", "Madonna", serie di opere denominate "Fregio della vita", in cui l'artista si impegnerà a esplorare tutti i temi di vita più drammatici; dalla paura, all'angoscia, dall'ansia alla malinconia, fino a dare vita perfino alla morte stessa.

Sono tanti i baci rappresentati nel corso dell'arte, e ancora di più quelli che diamo nel corso della nostra vita; ma che rapporto abbiamo con loro? 
Come classifichiamo i nostri baci? 
Dettaglio del dipinto "Il bacio" di Munch 1897
Oslo Munch Museet
Se in alcuni, non possiamo fare altro che immedesimarci completamente nel puro surrealismo di Magritte, dove "Gli amanti", entrambi hanno il volto coperto da un panno, caricando la scena di mistero e incomunicabilità; i più innocenti di noi invece si sentiranno sicuramente protagonisti, di un amore dove la semplicità e sobrietà è molto più forte dell'immagine in sé come accade "nell'ultimo bacio di Romeo e Giulietta" del celebre Hayez.
Per me, non c'è tela migliore di questa che possa rappresentare quello che è il bacio per molti di noi.
Essendo un quadrò già precoce nella produzione di Munch, si rivela in come egli stesso vedesse il rapporto tra maschio e femmina; come un amplesso in cui l'identità maschile poteva essere messa in pericolo, quasi assorbita da una donna-mantide.
La coppia, è protagonista dell'opera stessa, ma non con la serenità di Chagall tipica di molti innamorati, ma qua è come se entrambi fossero consapevoli, che nel rapporto tra uomo e donna non bisogna mai arrivare all’annullamento dell’essere o all’assimilazione. 
L'opera ci da anche un'immagine chiara ed esplicita di come fosse realmente l'artista nella propria vita; un uomo da un fascino indiscutibilmente particolare, con un atteggiamento misogino tipico degli intellettuali di un tempo e di noi comuni sognatori, che pur senza ammetterlo, sentiamo di avere un rapporto difficile con la nostra controparte.
Alla visione tragica della vita di Munch, contribuì in buona parte un'atmosfera caratteristica della Norvegia ottocentesca, ossessionata da convinzioni per lo più bigotte, e dalla depressione da cui derivano alcuni dei più significativi drammi teatrali dell'epoca, terreno più che fertile per poter gettare le basi di un'espressionismo carico di emozioni, e sofferenze che suggeriscono precise soluzioni formali, movimento però al quale, egli non vorrà mai aderire.
Ma non è forse questa la chiave? Nemmeno noi, abbiamo intenzione di aderire a una visione pessimistica della nostra vita, passando da un dramma all'altro, da un bacio a un altro, illudendo noi stessi alla stremante ricerca del bacio perfetto, che non ci assorba, ma che ci completi?



giovedì 12 febbraio 2015

Tra arte austriaca e realtà italiana...


Tra l'arte austriaca e realtà italiana...
Chi dice che più di cento anni siano sufficienti a cambiarci?



Kuntsmuseum
"Sposa del vento" conosciuta anche come "Tempesta"
1914. Kuntsmuseum
Immedesimiamoci per un attimo, in un quel grande mosaico cosmopolita della Vienna nei primi anni del Novecento. Mentre l'espressionismo artistico trovava posto, tra a nazionalità in fermento, e un crocevia geografico tra Occidente e Oriente sempre più ingombrante, noi ci collocheremo lì, assieme alla voglia di superare i molteplici steccati che ancora erano ben solidi tra la mentalità puritana di quegli anni. Oggi voglio parlarvi di quel legame che penso esista tra il Kokoschka espressionista, e noi che tra mille semafori al contrario riusciamo a malapena a farle affiorare quelle nostre espressioni.
Penso che la tela non colpisca tanto per  per le sue 
innovazioni stilistiche, ma ciò che colpisce invece è l'uso di un certo linguaggio per trattare il rapporto di coppia, in modo apocalittico, quasi che l'estasi dell'amore derivasse da un tormento che esso stesso lui provoca; colori violenti, uomini distorti, moto centripeto delle forme.
La coppia sembra adagiata su una fragile barca,pronta a essere catturata dalla forza incontrastata dal mare. Il corpo, e tutte le carni dell'uomo sembrano livide e lacerate. 
L'atmosfera e i toni cupi parlano di una relazione a doppio volto, quasi portasse a pensare in un gesto disperato, ove la donna impossessata dalla gelosia, in un momento di irrazionalità, uccidesse l'amante, che ora riposa sulla sua candida spalla.
Comunque sia, tutto porta a pensare che l'amore secondo Kokoschka, non fa altro che spingere la coppia in un vortice di dipendenza reciproca e in un isolamento totale dal mondo.
Ma se alla fine ci fermiamo solo un attimo, e riflettiamo quanto poco basti per capire che questo non è altro che quello, che realmente accade a noi, tutti i giorni, non solo in "Tempesta 1914" ; ma allora perché continuiamo a porre le nostre relazioni, su delle lance che dal tanto precarie che sono, sono destinate a naufragare in un mare di lacrime? Come una sorta di santuario, dove ciascuno di noi sopravvissuti  ha i propri amici, le proprie persone, che hanno scelto di rischiare, hanno scelto di uscire in mare a notte fonda, non vedendo nulla perché il buio era l'unica luce presente, a bordo di barcarole, che si sapeva dall'inizio del viaggio, imbarcassero acqua; ma caparbi hanno scelto di proseguire, mettendo a rischio la propria razionalità e il proprio essere.
E' giusto perciò, piangerli? 
E' giusto pregare chiunque a cui crediamo, alla fine di poterli riavere con noi, perché il buio e l'amore hanno rapito la loro razionalità?

mercoledì 11 febbraio 2015

Un buon motivo per non seguire questo blog...

Un buon motivo per non seguire questo blog…
(Credetemi uno, basta e avanza…)

Quando qualcuno sceglie di avvicinarsi a un blog, lo fa sperando di impressionare qualcun'altro, perché non dobbiamo mentirci, noi da quando siamo nati, non desideriamo altro che impressionare. Anche io lo faccio per il medesimo motivo; ma per impressionare me stessa, non gli altri utenti, che penso siano abbastanza svegli per capire cosa voglia dire.

Non vi darò il benvenuto, annoiandovi con delle anticipazioni su quello che scriverò in futuro; vi darò però una buona ragione per non leggere, o leggerlo "alla leggera", e per quest'oggi penso possi bastare.

Perché basta un motivo per non seguire questo blog? Perché questo sarà un blog in cui si parlerà d'arte, e io non sono una né una storica, né tantomeno una critica, ma sono fermamente convinta che l'arte sia il miglior veicolo del nostro cuore ... quindi cercherò di parlare di qualcosa che interesserà (in primis) a me e forse a qualche neofita come me, ma senza alcuna pretenziosità, e con la consapevolezza di non essere accademica quanto serva.